Damien Hirst | Il cimitero delle mosche
di Giulia Santambrogio
Recentemente riaperta al pubblico, la Torre della Fondazione Prada a Milano ospita numerose installazioni di artisti contemporanei di fama mondiale.
All’ottavo piano è ospitato Damien Hirst con tre installazioni e un’opera a parete. Ancor prima di accedere allo spazio, Tears for Everybody’s Looking at You (1997) anticipa la sua presenza con un lieve e continuo scroscio di acqua che ricorda la pioggia.
Una volta entrati nell’ambiente, quello che a prima vista può sembrare un grande monocromo nero dipinto è in realtà un mare di mosche morte applicate ad un supporto con resina. Si consiglia agli animi più sensibili di avvicinarsi lentamente. L’odore (di mosche? Di resina? Di morte?) rigetta indietro lo spettatore. È necessario combattere la sensazione di disgusto per potersi accostare all’opera e analizzare da vicino l’ammasso di cadaveri. La visione è drammatica.
Accanto a Tears for Everybody’s Looking at You la mosca ritorna ad essere protagonista indiscussa di tre installazioni correlate: Waiting for Inspiration (Red and Blue), Waiting for Inspiration (Blue), Waiting for Inspiration (Red) del 1994. Le mosche possono volare all’interno di tre strutture cubiche di vetro sorrette da telai in acciaio. Gli animali intrappolati hanno un destino angoscioso e terribile: restare vittime di un apparecchio cattura insetti. I cadaveri si ammassano su un tavolo sottostante e sul pavimento. La strage vede poche mosche sopravvissute che si avvicinano agli altri insetti quasi a cercare qualche compagna ancora viva.
Le opere si pongono su due diverse distanze. Il primo approccio ci vede al di qua del vetro e lontani: il panorama luttuoso è visibile, ma è possibile mantenere una certa indifferenza. Poi ci si avvicina e le sensazioni sgradevoli iniziano ad emergere quando occhio e mente si spostano sul particolare e individuano delle micro-scene. La mosca, inoltre è animale emblematico della caducità delle cose. La sua comparsa è il segnale che qualcosa si sta decomponendo.
L’arte deve essere bella e piacevole per l’occhio? In questo caso non lo è affatto. Chi guarda rimane turbato, eppure non ne può fare a meno. La morte esibita in questi termini incuriosisce e allo stesso tempo spaventa. Nei lavori con gli animali in vetro resina di Damien Hirst questo aspetto è sempre presente, esibito ed esasperato. In luoghi asettici e con modalità artificiali, scientifiche e rigorose gli animali sono imprigionati nella resina, talvolta sezionati. La realtà nuda e cruda si presenta allo spettatore. Nessuna allusione, nessuna evocazione, nessuna mediazione. Non c’è niente che renda più digeribile o che abbellisca il contenuto dell’opera.