Elvezia Allari | Tu sei una pianta
Era da tanto tempo che volevo intervistare Elvezia. Dopo quasi due anni, finalmente, mi decido a contattarla. È ottobre (lo scorso ottobre) e mi trovo nella mia stanza/studio a Marsiglia. Ci siamo accordate per l’orario e le telefono. Lei è in treno in viaggio verso Carta Carbone, festival letterario di Treviso, dove terrà un workshop sul libro d’artista dal titolo Il giardino meraviglioso.
Seguo il suo lavoro sui vari social. È così che ho conosciuto i suoi abiti di carta con inserti floreali. Mi affascinano specialmente quando vengono fatti ballare da una danzatrice di flamenco.
Mi spiega che sono abiti da seminare. Sono fatti di carta e tra i veli sovrapposti sono celati dei semi. Sono abiti non indossabili o fatti per corpi impensabili il cui destino è di essere seminati e trasformarsi in piante. Siamo all’interno di una conosciuta e delicata metafora che vede la terra come donna. Il giardino viene vestito mentre l’artista si spoglia e semina. Un’azione che mi fa pensare alla trasformazione della ninfa Clori in Flora nel dipinto La Primavera di Botticelli.
Mi parla poi degli abiti che Manuela Carretta, ballerina di flamenco, coinvolge nelle sue performance come partner di ballo. La performance è totalmente affidata a Manuela che collabora spesso con l’artista. Gli unici suoni sono il fruscio dell’abito e i colpi dei tacchi.
La ricerca di un continuo incontro tra ballo, azione, musica e oggetto/scultura arriva da una lunga esperienza di scenografa per diverse compagnie teatrali. Slegato dall’ambito teatrale, l’abito non ha più a che fare con l’indossare, diventa una scultura libera appesa, stesa al vento, libera di danzare e possiede tasche colme di semi. Tra i materiali per gli abiti/sculture Elvezia utilizza anche silicone, stoffa, filo di ferro cotto, reti, plastica, colle.
Per Elvezia il primo abito rimane il corpo. Il corpo ha a che fare con il concetto di casa, dove lo scheletro è la struttura architettonica. La mente è un giardino interiore, un hortus conclusus dove ognuno coltiva le proprie piante. Questa idea dona il nome ai copricapo in fil di ferro dove il fitto intreccio dà vita a una struttura labirintica.
Oltre agli abiti e ai copricapi tra gli accessori realizzati da Elvezia troviamo anche gioielli, borsette e natura da appendere alla parete.
Con il progetto Serre si avviano delle performance nella città. Un giorno Elvezia aveva con sé delle scarpette (anch’esse non indossabili) e trovandosi in una serra per comprare dei gerani le viene l’idea di nasconderle tra i fiori. Dopo aver chiamato Manuela le chiede di cercarle. In questo caso la performance è stata un’urgenza. I suoi progetti nascono anche inaspettatamente grazie al mantenimento costante dell’attenzione su ciò che di naturale ci può circondare anche in città.
A Elvezia piace pensare di poter associare una pianta ad ogni persona, senza una divisione troppo rigida, ma secondo alcune caratteristiche. Le persone con le spore sono per esempio gli apolidi, chi non vuole cambiare idea o luogo ha radici grosse e rinsecchite, ma ci sono anche radici vigorose che possono portare frutti. Per Elvezia, prendendo questa consapevolezza, ognuno può scegliere se fare frutti o solo fogliame.
Le piante non vivono da sole, a volte addirittura non si sopportano. Come le persone.
A loro volta le piante sono in relazione con gli uomini e le donne facendo loro dei doni magnifici.
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